DALLA BAYARD AL FRECCIAROSSA
BREVE STORIA DELLE FERROVIE IN ITALIA
Indice
1839 - 1905 Dagli inizi fino alla entrata in scena delle Ferrovie dello Stato
L’Italia ferroviaria prima dell’unificazione
La prima organizzazione strutturata delle ferrovie in Italia
Le ferrovie fino alle “Convenzioni”
Gli ultimi anni del Diciannovesimo Secolo e la nascita delle Ferrovie Statali
1905 - 1955 La prima metà del Ventesimo Secolo, direttissime ed elettrificazioni
Prima Guerra Mondiale e gli anni fino alla crisi del 1929
Le “Direttissime”
Le distruzioni della Seconda Guerra e la ricostruzione
1955 – anni ’80 Gli anni del boom economico e la transizione verso le nuove ferrovie
L’ Italia del miracolo economico e la transizione verso le nuove ferrovie
Rotabili anni ’80, carosello di colori
1990 – 2010 Una nuova rivoluzione: l’Alta Velocità
Il ritorno della gestione privata e le liberalizzazioni
Alta Velocità
1. 1839 – 1905 Dagli inizi fino alla entrata in scena delle Ferrovie dello Stato
Le strade ferrate in questo lungo arco di anni compirono la loro vicenda pionieristica, conseguendo il fondamentale risultato di mettere in comunicazione gli Italiani, rappresentando nello stesso tempo, nell’immaginario collettivo, l’emblema dell’unità nazionale.
Tanti simboli dell’Italia in sviluppo furono legati alle ferrovie, come la linea “Porrettana” (1864), che per la prima volta valicava l’Appennino, vincendo l’aspra e spesso infida orografia della penisola.
Da parte di storici e studiosi di ferrovia si suole indicare in questo periodo quattro realizzazioni come vanto delle ferrovie italiane, anche a livello internazionale, cioè:
Il primo ponte di
Locomotive dette “Mastodonti dei Giovi”
Traforo del Frejus
Locomotiva “Mucca” (Gruppo 670)
Carlo Bossoli: Ponte sullo Scrivia tra Ronco ed Arquata (ca 1860). Litografia ex Museo Ferroviario di Roma Termini (Bibl.2)
Le ferrovie fino all’unificazione
3 ottobre 1839: si inaugura la Napoli-Portici, la prima linea ferrata della penisola. Al di là del primato di questo tratto però, il Regno delle Due Sicilie non assunse una funzione di guida delle costruzioni ferroviarie, limitate a poche decine di chilometri diluiti in circa 20 anni.
I veri sintomi della febbre per le nascenti ferrovie si manifestarono altrove, in Lombardia (costruita
. Il ponte, lungo 3.477 metri, era composto da 234 arcate, ad un solo binario, con marciapiede per i pedoni. Il materiale di costruzione era il larice del Cadore, pietra istriana, mattoni. Il regolare esercizio tra Venezia e Vicenza ebbe inizio nel gennaio 1946.
Le prime organizzazioni strutturate delle ferrovie italiane
All’atto dell’unificazione (17 marzo 1861) il sistema di strade ferrate constava di circa 2.700 chilometri. Mentre per la Pianura Padana e il centro, almeno fino all’altezza di Ancona esisteva un’ossatura compiuta, l’infrastruttura ferroviaria nel Meridione era quasi assente.
Il Regno d’Italia ereditò dai governi preunitari una situazione confusa che vedeva ferrovie statali in Piemonte e nel Napoletano coesistere con linee interamente affidate ai privati e non mancavano i casi intermedi di proprietà pubblica ed esercizio delegato a Società concessionarie. Ai primi anni dopo l’unificazione circa quindici erano le Compagnie ferroviarie attive.
Una preoccupazione prevalente dei nuovi progetti di costruzione linee era cercare da una parte di creare un sistema organico e razionale delle ferrovie e dall’altro di attenuare il malessere del Mezzogiorno, afflitto da una situazione economica critica e dalla piaga del brigantaggio.
Il piano delineato intorno agli anni ‘60 constò in sintesi di 6.000 chilometri di ferrovia, che privilegiano i collegamenti nord-sud lungo le coste, secondo un disegno perimetrale della penisola. Nel 1865 è aperta anche la longitudinale adriatica, fino a Brindisi, essendo la sua urgenza dettata anche dal dover assicurare all’Italia il passaggio della “Valigia delle Indie”, convoglio ormai lontano nel tempo, ma molto famoso, il cui itinerario italiano costituiva una delle parti terrestri del collegamento ferro-marittimo Londra-Bombay.
Nel 1871 venne aperto il traforo ferroviario del Frejus di 13,636 chilometri. La notizia fece clamore in Italia mentre passò quasi inosservata in Francia: si stava infatti combattendo la guerra franco-prussiana con risultati disastrosi per le armate francesi. Ma l’opera era straordinaria e costituiva il primo traforo assoluto della catena alpina.
Molto del materiale ferroviario arrivava dall’estero ed anche buona parte delle iniziative ferroviarie su territorio italiano furono ispirate e condotte da capitali esteri. Esistevano tuttavia anche modelli nazionali, come la Sampierdarena, prima locomotiva a vapore progettata e costruita nel regno di Sardegna, che uscì dalle officine dell'Ansaldo nel 1854. Nel 1850, i lavori in corso sulle rampe dei Giovi, per la costruzione della linea Genova – Torino, furono visitati da Robert Stephenson, ritenuto massima autorità in materia, il quale escluse la possibilità di impiegare macchine in aderenza naturale, proponendo di usare un sistema a funi con contrappeso, causa le pendenze (35 per mille) di quella linea.. Su ispirazione di tecnici italiani, fra cui il famoso Germano Sommeiller, che di li’ a poco sarebbe stato fra gli artefici di brillanti soluzioni tecniche al Frejus, vennero predisposte le locomotive denominate “Mastodonti dei Giovi”, nelle quali la soluzione ai problemi della necessità di aumento della potenza era data dall’essere costituita da due locomotive-tender articolate ottenute accoppiando dal lato del forno due macchine a due assi e ad aderenza naturale, scelta che poi si rivelò vincente.
Locomotive accoppiate “Mastodonti dei Giovi” studiate da G. Sommeiller e altri (da . http://www.mcetorino.it/webquestrotonda/43storia2mastodontichiusa.htm)
Nel 1865 venne emanata la legge voluta anche dal Ministro delle Finanze Quintino Sella, cosiddetta “Legge dei Grandi Gruppi”, con la quale lo Stato si proponeva, per favorire un ulteriore sviluppo ferroviario e industriale, di accorpare le numerose ma piccole società ferroviarie, esistenti soprattutto al nord ove la rete era più estesa, affidando le linee principali a poche compagnie
Società per le Strade Ferrate dell’Alta Italia
Società per le Strade Ferrate Romane
Società per le Strade Ferrate Meridionali
Società per le Strade Ferrate Calabro-Sicule
Le ferrovie fino al periodo delle “Convenzioni”
Alla fine dei primi venticinque anni di Italia unitaria vi fu lo sviluppo di trasversali appenniniche, sfida tecnica ed economica rimarchevole. Si trattò di una fase espansiva delle costruzioni ferroviarie, che interessò, oltre che la già citata zona appenninica, anche il Sud, le Isole e pure il Centronord, come articolazione più capillare delle reti già esistenti.
Il più vistoso cambiamento delle città dell’Ottocento di questo periodo fu rappresentato dall’arrivo della ferrovia, che permise ai centri urbani di mettersi in diretta e continua comunicazione con le proprie campagne, con i porti e con altre città. Le stazioni ferroviarie assunsero una funzione simile a quella svolta in precedenza dai porti, e non dovevano mancare di reggere il confronto con i più sfarzosi palazzi pubblici e privati di epoche precedenti. La realizzazione di nuove stazioni fu intensa: nel 1866 Napoli Centrale, Torino Porta Nuova nel 1868, Genova Piazza Principe e Roma Termini nel 1870. Trasformazioni di ambito non circoscritto dovute all’avvento della ferrovia riguardarono l’avvio delle colture e produzioni agricole specializzate al Sud, dal vino agli agrumi, agli ortaggi, destinati dapprima al mercato francese, poi a quello tedesco e più tardi a quello interno delle regioni del Nord a più alto tasso di consumi privati.
Dal 1879 al 1885 (anno in cui si darà una sistemazione meno provvisoria all’esercizio) si risente però anche una situazione confusionaria nelle nuove costruzioni. Si cerca di porvi rimedio delegando il compimento dei lavori alle società incaricate dell’esercizio. Sotto questo profilo, la rete è suddivisa in due grandi sezioni longitudinali, la tirrenica e l’adriatica e in quella autonoma delle linee siciliane. A ciascuna delle sezioni corrisponderà, ratificata in seguito, una società: le Meridionali per il versante adriatico e la Mediterranea, un nuovo organismo a capitale prevalentemente nazionale, per il versante tirrenico. Completavano il quadro la Rete Sicula e Sarda, la prima delle quali, a capitale locale, fu diretta da Riccardo Bianchi, destinato ad essere il primo Direttore delle Ferrovie Statali. Le Convenzioni dunque regolarono i rapporti tra Stato e Società private, con queste ultime che provvedevano alla sola gestione tecnico-finanziaria di una rete statale. Esse furono approvate il 6 marzo 1885, a quel tempo sul territorio italiano esistevano, dopo l’intervento dello Stato sulle Ferrovie Meridionali e su altre a carattere privato, queste Reti:
Rete Adriatica
Rete Mediterranea
Rete Sicula
Le linee concesse a dette Società, distinte in principali e secondarie, ebbero uno sviluppo di 8.510 chilometri. Il nuovo ordinamento prevedeva che la vigilanza sulle costruzioni e sull'esercizio, fosse assunta dal Ministero dei Lavori Pubblici, a mezzo di un Ispettorato Generale delle Ferrovie. Da notare che la Rete Adriatica altri non era che la Società per le Strade Ferrate Meridionali, la quale, creata nel 1862 dal conte Pietro Bastogi, durò fino al 1906, risultando la più longeva delle grandi società private ferroviarie italiane.
Il panorama internazionale ferroviario vide in quegli anni un importante sviluppo: Il 5 giugno 1883 inizia il servizio dell’Orient Express lungo la linea Parigi – Costantinopoli. La sua origine e la sua storia fu scritta dal belga Georges Nagelmackers che nel 1867 dopo un lungo viaggio negli Stati Uniti, ebbe l’idea di applicare anche in Europa più elevati livelli di comfort. Le carrozze viaggiatori all’epoca non prevedevano infatti gli scompartimenti come oggi, quindi Nagelmackers, conscio che l’utenza europea richiedeva ben altro standard, progettò una carrozza con corridoio laterale e cabine chiuse disposte in serie, in modo da realizzare scompartimenti riservati, aggiungendo carrozze di soggiorno e, successivamente, ristorante.
Le ferrovie alla fine del Diciannovesimo secolo e la nascita delle Ferrovie Statali
Nelle intenzioni statali, oltre al riordino strutturale, il nuovo assetto delle Convenzioni avrebbe dovuto essere accompagnato da un concomitante sviluppo finanziario. Il capitale delle reti avrebbe dovuto crescere del 3,5% all’anno, ma il sistema non raggiunse il suo scopo, poiché il traffico non progredì nella maniera auspicata, anche a causa dal ciclo di depressione economica degli anni dopo il 1885. L’incremento ci fu, ma inferiore al previsto e questo fece saltare i calcoli ed indusse le Compagnie a richiedere un aggiornamento dei patti e a risparmiare in tutti i settori, dal personale alla manutenzione di materiale e linee, generando un forte malcontento. I problemi, dopo le Convenzioni, iniziarono già nei primi anni e si protrassero causando continui esborsi finanziari da parte dello Stato.
Ci si avviò così verso una razionalizzazione dei piani di incremento della rete: si costruì solo laddove si individuava una potenziale necessità. Notevoli nel periodo l’apertura della “succursale dei Giovi”, nuovo collegamento attraverso gli Appennini col porto di Genova, il completamento della Salerno-Reggio Calabria lungo la litoranea tirrenica e in particolar modo il traforo del Sempione, iniziato nel 1897 per poi essere completato nel 1906. Valorizzando anche la rete siciliana mediante l’adozione di ferry-boat, si registra con l’inizio del nuovo secolo un deciso sviluppo, che consente nel 1903 il recupero del record di traffico di vent’anni prima.
Con la fine del diciannovesimo secolo si assistette all’apertura della possibilità, incoraggiata anche dalla diffusione della trazione elettrica nei trasporti urbani, di far marciare i treni con l’elettricità invece che con il carbone.
Considerato che esisteva l’opzione di adottare diversi sistemi, fu deciso in un primo momento di sperimentare ciascuno dei tre sistemi discussi, precisamente il sistema ad accumulatori, quello a 650 V con la terza rotaia di alimentazione, infine il sistema a corrente alternata trifase 3.000 V 15 Hz. Il primo ottenne risultati poco soddisfacenti, il sistema a terza rotaia si dimostrò idoneo per servizi suburbani, mentre gli esperimenti condotti lungo le linee della Valtellina evidenziarono che il sistema trifase poteva essere convenientemente adottato su linee caratterizzate da traffico intenso e pesante. Esso, in periodi successivi ad opera delle FS, venne adottato estensivamente lungo linee di valico ed anche per trafori internazionali, dove la lunghezza delle galleria rendeva quanto mai difficoltoso per il personale e rischioso in generale l’utilizzo della trazione a vapore. La nascita ufficiale della trazione elettrica italiani si suole quindi far coincidere con l’apertura al servizio viaggiatori della Lecco – Colico – Sondrio, nel 1902, ad opera di treni a trazione trifase.
Locomotiva Gr. 670-690 (Bibl.1)
Il Gruppo 670 fu una realizzazione tecnica d’avanguardia della Rete Adriatica, il cui ufficio studi progettò, per ottenere un aumento della potenza, una locomotiva con il forno sopra ad un carrello portante a tre assi,che divenne il carrello di guida anteriore. Il senso di marcia era quindi a cabina avanti, con ottima visibilità. Il carbone trovò posto in apposite casse laterali ai lati della caldaia ed il tender si ridusse ad un carro serbatoio a tre assi. La locomotiva venne presentata all'Esposizione Universale di Parigi del 1900, rimorchiando dieci carrozze, per un peso totale di 130 tonnellate, alla elevata velocità di 126 chilometri/ora.
Destò quindi grande interesse e accese anche tante discussioni fra i tecnici dell’epoca.
In una situazione generale di grave scontento riguardo al servizio ferroviario, causa anche il generale stato di obsolescenza del materiale rotabile, il progetto giolittiano della statalizzazione trovò ampi consensi e giunse a maturazione in tempi brevi. Il primo luglio 1905 fu costituito il nuovo Ente, denominato Ferrovie dello Stato, sotto la responsabilità del Ministero dei lavori Pubblici. Esso prese in gestione circa 13.000 chilometri di linee, dei quali 2.000 a doppio binario. Il materiale rotabile consegnato dalle tre Compagnie non era in buono stato: nel 1905 le Ferrovie dello Stato avevano una dotazione di 2.664 locomotive appartenenti a ben 102 gruppi differenti, 52.778 carri merci e 6.985 carrozze viaggiatori, per le quali si decise di adottare il colore verde scuro già in uso sulla Rete Adriatica, meglio noto all’epoca come “verde vagone”. Poche decine di carrozze erano dotate di carrelli e costruite nell’ultimo quinquennio, mentre la gran parte erano di tipo antiquato, prive di intercomunicanti, dotate di cinque o sei piccoli scompartimenti, in gran parte con illuminazione ad olio e senza riscaldamento.
Al 1906, dopo l’integrazione completa della rete statale, le linee a doppio binario misuravano 1917 chilometri, quelle a binario semplice poco più di 11.000, le linee elettrificate 178 (Bibl.7, carta da bibl.1).
2. 1905 – 1955 La prima metà del Ventesimo Secolo, direttissime ed elettrificazioni
Al termine della prima guerra mondiale, le Ferrovie dello Stato conseguono un grande prestigio, per il supporto dato al Paese durante il periodo bellico.
Gli anni ’20 e ’30 rappresentarono, fra alterne vicende e scenari, un periodo di crescita per le ferrovie, con lo sviluppo dell’elettrificazione, l’aumento dei treni di lusso, la realizzazione delle “Direttissime”. Iniziano in particolare a diffondersi automotori elettrici o a trazione termica, in grado di avviare la sostituzione delle locomotive a vapore.
Esce nel 1921 la prima carrozza a carrelli delle ferrovie italiane, a cassa metallica, scompartimenti separati, corridoio laterale, ritirate, piattaforme di accesso dalle estremità;.
Cartolina del sottoscritto, Sempione, epoca del trifase (?)
Prima Guerra Mondiale e anni fino alla crisi del 1929
Il disimpegno che caratterizzò l’ultimo periodo di gestione privato prima della nascita delle Ferrovie Statali fu uno sprone per funzionari e maestranze ferroviarie, orgogliose ed entusiasti della nascita del nuovo Ente, che presero a svolgere con passione e vigore un compito considerato essenziale per tutto il Paese. Il personale della neo costituita FS aumentò rapidamente, fatto che andò di pari passo con un incremento dei treni effettuati e aumento della produttività di rotabili e personale.
Dal punto di vista dei rotabili vennero realizzati nuovi tipi di macchine a vapore, frutto di rinnovate ricerche, come ad esempio la 640, “Signorine”, costruite in 169 unità dal 1904, prime locomotive destinate al servizio passeggeri per cui veniva usato il sistema di surriscaldamento del vapore. Vennero inoltre diminuiti alcuni tempi di percorrenza e, protagonista di tutto questo periodo, la macchina a vapore raggiunse il suo perfezionamento tecnico. L’aumento della potenza e della velocità influirono sulle dimensioni della caldaia, mentre i miglioramenti, come l’introduzione della doppia espansione e del surriscaldamento del vapore, non sconvolsero la sua struttura, rispettando gli aspetti di meccanica che erano già maturi.
La Gr.640, foto Simap, con carrello anteriore di tipo “italiano”
http://www.3rotaie.net/forum/topic.asp?TOPIC_ID=1954
La Prima Guerra Mondiale interruppe l’ammodernamento e modernizzazione intrapresa dalle FS. Fu un periodo nel quale le ferrovie ebbero un ruolo importantissimo, sia per il trasporto dei militari, sia per gli approvvigionamenti. Dopo il conflitto, nell’arco di alcuni anni, arrivarono dall’ex Impero centinaia di locomotive come risarcimento danni: un parco che aggiunse complessità al sistema e fu di difficile gestione.
Appena dopo gli anni della Guerra, l’Italia conobbe la sua prima crisi energetica a causa dei prezzi del carbone che erano lievitati per via del conflitto e della svalutazione. Fu perciò chiaro che nell’immediato futuro delle ferrovie avrebbe dovuto aver posto un grande programma di elettrificazione. Il trifase, sistema collaudato ed avente a regime un parco trazione di oltre 600 locomotive, iniziava a subire critiche da parte dei fautori della corrente continua ad alta tensione, che aveva dato buona prova di sé in numerosi altri Paesi. Anche per questa necessità di scelta, si optò negli anni verso il 1920, per una soluzione di compromesso, dividendo la penisola in tre zone: al nord si sarebbe continuato con il trifase, al centro si sarebbe sperimentato il trifase a frequenza industriale e al sud, sulla Benevento-Foggia, dal 1928, la corrente continua ad alta tensione. Negli anni successivi il sistema a corrente continua si diffuse rapidamente, essendo stato deciso che il sistema doveva essere utilizzato per tutte le nuove elettrificazioni a sud della trasversale Pisa-Firenze-Faenza e nelle linee di grande comunicazione a nord. Nel 1938 esisteva, per buona parte in Italia, la più lunga linea elettrificata al mondo, la Modane-Reggio Calabria, in trifase fino a Viareggio, e in corrente continua a sud di Viareggio.
In questo periodo assunse importanza nel contesto industriale l’espansione del settore meccanico. Nel programma del direttore delle FS, Giuseppe Bianchi, era inserita la clausola delle commesse all’industria nazionale e a fianco della meccanica, la siderurgia s’avvantaggiò grazie all’adozione di vagoni a telaio interamente metallico. Malgrado i grossi investimenti nell’industria meccanica, la produzione non riuscì però a far fronte alla domanda che, in parte, dovette essere coperta dall’estero.
Le “Direttissime”
Una delle caratteristiche peculiari di questo periodo fu la costruzione di “direttissime”. Progettate prima della guerra, esse ebbero un forte fascino sull’opinione pubblica e così si inaugurò (inizi del 1927) la Roma – Napoli, cosiddetta “via Formia”, per distinguerla dalla precedente “via Cassino” che presentava un andamento assai sinuoso, e, con particolare clamore, la Direttissima dell’Appennino (1934). Essa comprendeva la galleria a doppio binario, di 18,5 chilometri tra San Benedetto e Vernio e costituiva per l’epoca un capolavoro d’ingegneria, con un tracciato in larghissima parte su opere d’arte, viadotto, trincee, gallerie.
Vennero sostituiti molti vecchi fabbricati di stazione, tra i quali Napoli Margellina, Firenze Santa Maria Novella e Milano Centrale, che costituì l’ultima grande stazione monumentale in Italia e realizzate altre importanti infrastrutture, ad esempio il ponte in ferro sul Po a Piacenza, tra il 1929 ed il 1933, in sostituzione del precedente, che risaliva al 1864.
All’inizio degli anni ’30, la grande contrazione economica dovuta alla crisi del 1929 e il contemporaneo primo affacciarsi della concorrenza stradale fecero peggiorare rapidamente i conti dell’azienda ferroviaria. Il governo puntava comunque sempre sul trasporto ferroviario adottando un importante intervento di modifica dei sistemi di trazione. Si decise infatti di non dare più sviluppo, contrariamente ad altri Paesi europei, alla progettazione e produzione di locomotive a vapore. Esse furono costruite non oltre il 1928-29, essendo state le 744 le ultime locomotive nuove delle FS, mentre tutti i gruppi successivi furono trasformazioni di locomotive a vapore già esistenti.
Si diede quindi priorità, date anche le numerose elettrificazioni di linee in corso, alla trazione elettrica e, sulle linee secondarie, anche alle automotrici termiche di tipo leggero, specie di autovetture ferroviarie, le famose “Littorine”. Il loro notevole successo spinse a progettare rotabili con motore elettrico, in particolare dopo la metà degli anni ’30. Per servizi rapidi entrarono in servizio gli “elettrotreni”, tra i quali l’Etr 200 che nel 1939 ottenne il record di velocità mondiale commerciale con 171 km/h, coprendo in 77 minuti i ben 219 chilometri della Milano – Bologna. Il 1939 è da ricordare anche per il notevole interesse ottenuto da questo elettrotreno di costruzione Breda alla Esposizione Universale di New York, determinato sia dall’elegante ed aggressiva linea aerodinamica, sia dal primato di velocità ottenuto solo pochi mesi prima.
Non solo elettrotreni vennero costruiti in questo periodo. Al Servizio Materiale e Trazione delle FS di Firenze fervevano i lavori di ricerca dei tipi locomotive elettriche in continua a maggior prestazioni ed affidabilità. Si punta per questo all’unificazione dell’equipaggiamento elettrico, contando anche sul fatto che si sarebbero potuti ottenere gruppi o sottogruppi diversi a differente rapporto di trasmissione. Locomotive simbolo di quegli anni furono la E 626 e la E 428 che, poco dopo il periodo buio della Seconda Guerra Mondiale, diedero luogo alle locomotive elettriche di seconda generazione E 636 ed E 424.
Locomotiva E 626 a Delebio (SO) Cartolina Gr .Fermodellistico “Italo Briano”
Le distruzioni della Seconda Guerra e la ricostruzione
La situazione, dal punto di vista dell’impatto sulle ferrovie da parte delle azioni belliche, iniziò a peggiorare nella seconda metà del 1942, con lo sbarco in Africa degli alleati. In previsione dell’invasione in Italia, le incursioni aeree diventano intense.
I trasporti ferroviari continuano, pur registrando un calo e condizioni sempre più precarie. Fu il periodo tristemente noto per le gravi distruzioni, anche nei trasporti, dovute non solo all’offesa aerea (nella precedente guerra molto contenute visto che l’aviazione era al suo esordio), ma anche a sistematiche azioni di distruzione terrestri per la singolare situazione in cui il nostro Paese venne a trovarsi dopo l’8 settembre 1943, con l’esercito tedesco che passò da “alleato” a “invasore”. Le ferrovie usciranno dalla guerra in condizioni veramente disastrose, con la rete, al giugno 1945, distrutta fra il 30 e il 40%. Infrastrutture e materiale rotabile furono colpiti almeno nella stessa maniera.
Nell’immediato dopoguerra, la precarietà della situazione si rifletteva anche nell’utilizzo promiscuo dei rotabili. I carri “F”, chiusi a due assi e a tetto spiovente, forse i più emblematici di tutto il parco merci delle FS, la cui costruzione iniziò fin dal 1905, venivano usati per il trasporto passeggeri, attrezzati con panche e con una indicazione esterna del numero di posti a sedere disponibili.
L’anno 1950 può essere preso come data di riferimento della lunga e costosa opera di ricostruzione dai gravi danni inferti dalla guerra. Infatti, al 31 dicembre di quell’anno, solo pochi tratti ferroviari non erano ancora agibili e si poteva andare da un capo all’altro della penisola seguendo i principali itinerari, anche se le comunicazioni erano rallentate dalla presenza di opere di ripristino temporanee, soprattutto ai ponti.
Dopo le dovute considerazioni, si decide di persistere nella elettrificazione con corrente continua, non solo, ma di ripristinare gradualmente con questo sistema quei tronchi dove gli impianti elettrici in trifase sono stati distrutti dalla guerra.
Al 1955, dopo cinquant’anni dalla sua costituzione, la rete FS disponeva di 4.264 chilometri di linee a doppio binario, 12.000 circa a semplice binario, 6.000 elettrificate, 830 in corso di elettrificazione (Bibl.7, carta da bibl.1)
1955 – anni ’80 Gli anni del boom economico e la transizione verso le nuove ferrovie
L’Italia del secondo dopoguerra, dopo il tragico periodo bellico e quello difficile della ricostruzione, conobbe un rapido sviluppo economico, collegato a grandi trasformazioni sociali: da Paese agricolo, quale era fino alla II Guerra mondiale, diventa una delle maggiori potenze industriali del mondo.
In questo periodo tuttavia, il treno perse terreno a vantaggio dell’automobile. Taglio di “rami secchi” e scarsi investimenti nelle ferrovie, relegarono il trasporto pubblico ad una posizione secondaria rispetto alla motorizzazione privata. Una situazione che andò poi man mano a riequilibrarsi, contraddistinta però anche da realizzazioni di spicco, quale fu ad esempio il famoso Settebello, dal nome delle sette carrozze che lo componevano.
L’arrivo dei nuovi treni segna l’abbandono della tradizionale progettazione dei rotabili all’interno delle Ferrovie Statali e si opta per committenze affidate in buona parte a Società esterne, esempio Fiat Ferroviaria (in seguito acquisita dalla francese Alstom). Treno simbolo in tale contesto fu il “Pendolino”, Etr 401, capace di inclinarsi all’interno delle curve conseguendo quindi una marcia più veloce, entrato in servizio nel luglio 1976. Ma l’evoluzione del progetto si arrestò per mancanza di fondi, e anche tutte le iniziative sull’Alta Velocità in buona parte si fermarono per circa un decennio.
Convoglio a scartamento ridotto delle Ferrovie Calabro-Lucane a Bari (bibl.1)
L’ Italia del miracolo economico e la transizione verso le nuove ferrovie
Negli anni ’50, forse appagati dall’aver ripristinato le ferrovie nella situazione prebellica, l’attenzione politica si rivolse in gran parte alle strade.
Il più grande progetto infrastrutturale di quegli anni fu infatti la costruzione dell’Autostrada del Sole, iniziata nel 1956 e terminata, nel tratto fino a Napoli, nell’ottobre 1964. Il cambiamento dell’economia, guidato da un processo di crescita intenso, presentò aspetti di eccezionale profondità, il maggiore in assoluto della storia nazionale. Industrializzazione e motorizzazione, intesa soprattutto sul piano privato, spinsero ai margini il treno, ritenuto un mezzo di trasporto superato, o associato a fenomeni di massa ritenuti non di spicco, come quello migratorio interno dal sud verso il nord, e quindi anche a quello internazionale verso i Paesi del nord Europa.
Negli anni tra il 1955 e il 1960, le FS non restarono inerti sul piano della costruzione di una nuova generazione di treni di lusso. Tre esemplari di un treno innovativo come concezioni tecniche e stile furono consegnati in quel periodo (ETR 300). Il treno, soprannominato "Settebello", ottenne un grande successo, ed il terzo ed ultimo esemplare venne consegnato nel febbraio 1959, in tempo per l'Expo "Italia 61" di Torino, dove fu ammirato per le sue forme eleganti e le soluzioni di design degli arredi interni.
Non si adottarono in generale nel secondo dopoguerra adeguati interventi statali per evitare distorsioni nel comparto dei trasporti. Le ferrovie videro una perdita di traffico merci e passeggeri. Vennero comunque adottati alcuni piani di potenziamento nel complesso modesti, rispetto alla generale evoluzione tecnologica del periodo. Nel 1958 fu varato il Piano quinquennale di ammodernamento e potenziamento della rete, i relativi finanziamenti consentirono di continuare l’opera di elettrificazione delle linee e il loro raddoppio. Fu anche possibile acquistare nuovo materiale motore, grazie al quale continuò il processo di “dieselizzazione” dei treni viaggiatori sulle ferrovie secondarie, in sostituzione della trazione a vapore.
Dopo le direttissime concluse nel periodo fascista, e sebbene da molti le prime idee di alta velocità ferroviaria venissero considerate inutili, la priorità del secondo dopoguerra, per quanto riguardò la costruzione di nuove linee, fu quella di superare il vecchio percorso tra Roma e Firenze, che nell’Ottocento si era configurato più come una sommatoria di tronchi realizzati con intenti diversi che un collegamento il più possibile breve tra le due città.
Il 25 giugno 1970 si aprì dunque la storia della Direttissima Firenze-Roma, la prima linea ad alta velocità della rete italiana e la prima del genere in Europa, realizzazione conclusa poco più di vent’anni dopo.
E 633 sulla Torino-Bardonecchia, Cartolina, 1985
Questa linea fu costruita con una distanza tra i due binari più ampia delle linee normali, per neutralizzare gli effetti dinamici dei treni che si incrociavano ad alta velocità.
Per contrastare la sfida del trasporto su strada, occorreva offrire un servizio migliore in termini di comfort e di velocità, non appannaggio soltanto di pochi treni di lusso. Le elettromotrici costituite prima della guerra rappresentavano ancora negli anni ’60 la metà del parco. Sebbene l’età media (circa 15 anni), non fosse di per se stessa elevata, le parti meccaniche e gli ambienti di viaggio erano inadatti ai nuovi tempi. Automotrici elettrica di successo, concepite sempre coi finanziamenti del Piano quinquennale, furono le ALe 601, costruite in numero complessivo di 67 motorizzate e 78 rimorchi, con una potenza di 1.000 Kw e velocità massima tra 180 e 220 chilometri/ora.
La trazione a vapore va incontro in questo periodo al suo definitivo declino. Una innovazione tecnologica notevole, applicata fino al 1959, anche se ideata molto prima, fu la trasformazione di locomotive a vapore con il sistema di preriscaldamento dell’acqua di alimentazione a spese dei fumi di scarico, secondo il brevetto Franco-Crosti. I risparmi di carburante arrivarono al 22% ed il brevetto fu applicato anche in Germania ed Inghilterra.
TEE “Mediolanum” E 444, verso il Brennero, Cartolina
Infine, non si può tralasciare di menzionare, tra il nuovo materiale rotabile di traino a corrente continua, la E 444, Tartaruga, concepita per l’alta velocità con una tecnologia tradizionale, ma su cui, in modo sperimentale, iniziarono le prime prove di applicazione dell’elettronica per una miglior regolazione della potenza soprattutto in condizioni critiche. Dal Gruppo 633/635 (Tigri), in poi, la regolazione elettronica è perfezionata e si sviluppa estensivamente, mentre dal sistema a corrente continua 3.000 V cc si migrerà, nelle reti dell’Alta Velocità, per motivi di captazione ai pantografi, alla erogazione in corrente alternata a 25.000 V.
In un contesto più ampio di quello nazionale, da cui non si può prescindere seppur questa sia una storia di ferrovie in Italia, il 1957 segnò, sull’onda del forte incremento postbellico degli scambi commerciali tra i vari Paesi dell’Europa Occidentale, la nascita di relazioni confortevoli e veloci, note sotto la denominazione di TEE (Trans Europ Express), con treni in maggioranza diesel interoperabili.
Rotabili anni ’80, un carosello di colori
Terminato il periodo di gloria della trazione a vapore, si assiste nel mondo ferroviario, per tutti i rotabili, ad un fiorire di diverse e variopinte coloriture. Dando ovviamente per scontato che il colore sia solo una delle componenti dell’effetto estetico suggerito dai treni, è indubbio che la cromia di un rotabile ferroviario conta molto, ed è utilissima per riconoscerne l’Epoca, ovvero il periodo temporale di appartenenza. I colori poi possono rendere più o meno efficace l’impatto visivo sul viaggiatore, dando l’impressione, per altro perseguita dalle Compagnie, di velocità, eleganza e comfort e, nello stesso tempo, contribuendo ad assicurare la fidelizzazione della clientela.
Facendo un salto indietro nel tempo, negli anni ’30, dopo la livrea di color verde cui si è già accennato, i rotabili FS, di qualunque tipo, eccetto le locomotive a vapore, iniziano man mano a vestirsi di una composizione di colori “castano – isabella”, cioè un misto di due colori, bruno scuro e sabbia scuro, forse per creare un coordinato coi colori dei materiali nobili usati per gli interni delle carrozze, come il legno ed il bronzo. Il termine Isabella deriva come noto da una narrazione popolare legata alla Regina Isabella d’Austria, figlia di Filippo II, Re di Spagna. Sembra che questa avesse fatto il voto di non togliersi più la camicia fino a quando la città di Ostenda non fosse stata conquistata. L’assedio durò circa quattro anni, si può immaginare con quali conseguenze sul colore di quell’ indumento.
Si assiste poi, negli anni dopo il 1960, ad un carosello di cromie, dal verde e magnolia, al blu, al grigio perla. Dal 1980 si scoprono i colori rosso e grigio, in varie tonalità, applicati sia a mezzi come la Tartaruga, sia a locomotive da manovra, sia a carrozze nella versione rosso fegato.
All’inizio degli anni ’90, infine, i treni di punta per l’alta velocità, cioè gli ETR 500, sono colorati in verde e grigio chiaro ed una nuova evoluzione di tinte nasce dal 1992, in coincidenza con la rifondazione di FS, da Ente a Società per Azioni. Si tratta dell’applicazione sui rotabili della livrea cosiddetta XMPR, un insieme di fasce, per molti di discutibile effetto, di color verde, azzurro, blu e bianco, con quest’ultimo di dubbia praticità, incline com’è a sporcarsi facilmente. Questa coloritura è ancora in uso a tutt’oggi, ma le livree variopinte, in quanto personalizzate dalle diverse Compagnie private, o come motivi pubblicitari, sono nel frattempo tornate, e sempre più saranno diffuse, con l’arrivo sulle linee di nuovi gestori dei servizi ferroviari, decisi ad imporsi all’attenzione fin al primo sguardo.
ALe 644 Treno GAI (Gruppo Aziende Italiane), capostipite di una nuova generazione di ETR ad azionamento elettronico (1997)
Anni ‘80 – 2010 Una nuova rivoluzione: l’Alta Velocità
Il servizio su rotaia in Italia subisce una nuova riorganizzazione, con Legge del maggio 1985, si stabilisce il nuovo “Ente Ferrovie dello Stato”, formalmente tenuto a seguire stretti criteri industriali di produttività e redditività. Susseguentemente, nel 1992, le ferrovie si rinnovano, si ha la trasformazione delle FS in SpA e la nascita di due diverse Società: Rete Ferroviaria Italia, per binari e stazioni, e Trenitalia per la gestione del servizio.
Nel dicembre 2008 inizia il servizio commerciale sulla nuovissima tratta AV/AC Milano-Bologna. Parte la “metropolitana veloce” che un anno dopo, con l’attivazione della Bologna - Firenze, della Torino-Novara-Milano, della Roma – Napoli e Napoli – Salerno portano lo sviluppo totale della infrastruttura Alta Velocità italiana Torino – Salerno a complessivi 1.350 chilometri.
I nuovi rotabili e le infrastrutture ad essi dedicati, sul finire della prima decade del nuovo secolo, cambiano il volto delle ferrovie, relegando solo alla memoria, luoghi, odori e tante umane sensazioni che si associavano inequivocabilmente alla presenza del treno.
Treno OK, primo esempio di treno AV “low cost” delle FS
Il ritorno della gestione privata e la liberalizzazione
A fronte delle nuove condizioni del mercato, la pressante spinta di una svolta alla struttura delle FS, già evidenziata negli anni dopo il 1970, si concretizzò nel 1985, giusto 80 anni dopo la sua fondazione. Come qualsiasi impresa ad autonomia patrimoniale, il nuovo Ente FS, pur sorvegliato e sotto la sovrintendenza del Ministero dei Trasporti, doveva conseguire i propri fini con criteri di economicità e di efficienza. Accompagnata dallo slogan “signori, si cambia” la trasformazione portò alle ferrovie un aumento dei poteri decisionali, e un auspicio al risanamento dei bilanci, aspetto non secondario in quanto riguardante la più grande azienda italiana, come occupati, budget annuale, capitali immobiliari, quote d’investimento.
Alla fine del 1991, evidenziatosi una situazione economica critica per il Paese, il deficit pubblico rese necessarie privatizzazioni di grandi imprese pubbliche. I tempi erano maturi per un ulteriore passaggio delle ferrovie dello Stato, la nascita cioè della FS SpA, con capitale interamente di proprietà del Ministero dei Tesoro.
Nel maggio 1999, adottando una direttiva comunitaria di liberalizzazione, in analogia con navi ed aerei, liberi di viaggiare in mare o in aria, usando e pagando le infrastrutture a loro necessarie, si procedette alla creazione di due nuove Società, Rete Ferroviaria Italia, per le infrastrutture e stazioni, e Trenitalia per la gestione del servizio. Vennero così assegnati al gestore dell’infrastruttura binari, stazioni, dispositivi per la circolazione, tutto il personale addetto ai relativi impianti. All’impresa ferroviaria fanno capo invece il materiale rotabile ed il personale in servizio sui treni, o addetto alla manutenzione.
Gli introiti da traffico, passeggeri e merci, sono riscossi dall’impresa ferroviaria, soggetta a libera concorrenza, alla quale il gestore dell’infrastruttura vende cosiddette “tracce orarie”, con le quale quest’ultimo ripaga i propri costi.
La liberalizzazione delle ferrovie ha riguardato quindi l’esercizio, nel quale possono operare più imprese di trasporto ferroviario, ma non l’infrastruttura nazionale, rimasta sotto proprietà e gestione di un solo soggetto, che continua ad agire da monopolista. Passato il rodaggio iniziale, si immagina si possa delineare in futuro una situazione più chiara e, almeno come trasporto merci, molte imprese private hanno iniziato ad operare in Italia.
La programmazione ed il finanziamento del trasporto regionale sono stati trasferiti alle Regioni nel 1997, e susseguentemente lo si è ribadito con il D.L. 188/2003, che ha accelerato il trasferimento delle ex ferrovie concesse alle Regioni. Tale affidamento è previsto mediante la stipula di “contratti di servizio”, nelle cui clausole vanno tra l’altro quantificate le compensazioni per l’effettuazione di servizi non remunerativi, cioè la gran parte dei servizi a carattere locale per i lavoratori pendolari, costituenti da sempre un affare in perdita, a parte pochi e sporadici esempi.
Al 2008 erano in funzione in Italia 23 imprese di Ferrovie Regionali ex-concesse, molte delle quali caratterizzate da vicende storiche notevoli, valorizzate o valorizzabili dal punto di vista turistico e ambientale.
In conclusione, il fatto che un fattore economico esista, dà comunque speranza all’avvio di un circolo virtuoso, un rilancio completo del treno in un futuro non troppo lontano, un rilancio necessario anche per l’emergere sempre più forte di tematiche ambientali.
Alta Velocità
Alla fine del XX secolo l’evoluzione ferroviaria in Italia presentava una situazione variegata, con molti rotabili poco adeguati ai tempi. Circolavano sulle principali rotte però numerosi treni denominati “alta velocità”, sia i Pendolini, sia gli Etr 500. Mancavano le linee dedicate su cui farli circolare adeguatamente, a parte la Firenze-Roma, con una velocità limite di 250 chilometri/ora.
Si prevedevano però a breve termine l’inizio dei lavori in Pianura Padana della Torino-Milano e Milano-Bologna, mentre era già circa al 40% lo stato di avanzamento dei lavori sulla tratta appenninica tra Firenze e Bologna, un progetto avvenieristico, di 79 chilometri, 73 dei quali in galleria.
Dal dicembre 2008, in conclusione sono attivate le tratte AV
Poco tempo dopo è stata resa operativa anche la linea Torino – Milano.
Tutti i collegamenti prevedono la velocità massima fino a 300 chilometri
all’ora, eccetto la Firenze – Roma, come detto limitata a 250.
Dei nuovi interventi facevano parte anche quelli sui principali nodi, “passanti” sotto le città, ammodernamenti cospicui o costruzione di nuove stazioni.
Per le caratteristiche tecniche delle linee ad alta velocità, sono possibili come noto due diverse impostazioni di progetto: una, adottata ad esempio in Francia, con linee riservate solo al servizio viaggiatori AV senza collegamenti intermedi con il resto dei tracciati, ed un’altra, adottata anche in Germania e a cui si ispira il modello italiano, che prevede la linea AV integrata con quelle esistenti, una sorta di “quadruplicamento”, in modo da rendere accessibile l’infrastruttura ad una grande varietà di convogli. Questo è il motivo per cui la denominazione tecnica ufficiale dei tracciati è AV/AC, ovvero Alta Velocità/Alta Capacità.
Il ponte sul Po della linea AV Milano-Bologna (da Flickr)
Lo sviluppo di questi progetti in Italia non ebbe e
non ha però vita facile. A parte il lungo periodo di gestazione, numerosi agguerriti avversari hanno fatto spesso sentire la loro voce, convinti della necessità di un miglioramento complessivo della
rete, piuttosto che la realizzazione di poche linee, con treni bandiera destinati ad una ristretta “elite” di passeggeri.
In questo contesto si inserisce infine l’evoluzione imposta sul piano europeo in base ai criteri definiti dal Piano Delors, approvato dalla Unione Europea (allora Comunità) nel 1993. Gli obiettivi erano l’incremento della concorrenza, alcuni criteri di riequilibrio territoriale e soprattutto la creazione di rinnovati collegamenti tra Paesi europei comunitari e anche tra questi e gli Stati dell’ Europa orientale.
Poste Italiane per AV, 2010
Gli assi Genova – Rotterdam con la galleria del Gottardo (in corso il traforo svizzero del valico di base, di più di 50 chilometri di lunghezza) e Palermo – Verona – Berlino per il passo del Brennero sono le future linee Nord – Sud che interessano l’Italia, insieme a quello Est – Ovest, ovvero “corridoio 5”, Lisbona – Kiev, per il cui tratto di AV Lione – Torino sono state inscenate manifestazioni di protesta a livello locale fra le più eclatanti in assoluto che mai si siano verificate contro le costruzioni ferroviarie.
La progettazione di nuovi treni si è evoluta fortemente negli ultimissimi anni, nuovi criteri per la costruzione di rotabili su base modulare, più stringenti standard di sicurezza, e la concentrazione dei grandi costruttori di rotabili in un numero ridotto, hanno ormai preso piede. Il comfort interno di viaggio è curato in ogni particolare, all’isolamento termoacustico, e alla climatizzazione si sono aggiunti, oggigiorno, le prese di corrente, connessioni wi-fi, display elettronici per l’intrattenimento. Le Compagnie private, smaniose di ritagliarsi un posto commercialmente valido, consciamente od inconsciamente ripropongono i fasti dei treni di lusso del passato, inducendo gli ex monopolisti a rispondere adeguatamente.
Quelli di domani saranno dunque treni velocissimi, comodi e sicuri, riusciranno ancora come un tempo a coinvolgere la sensibilità, la fantasia e la memoria del viaggiatore?
L.Ceffa
Febbraio 2011
BIBLIOGRAFIA
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Ogliari F., Muscolino P. – I trasporti in Italia dal 1800, Ed. Arcipelago, Milano, 2003
Stampa Anastatica “Il cinquantenario delle Ferrovie dello Stato”, CIFI Duegi, 2006
Collana TuttoTrenoTema, DueGi, n.15-18 e 20-24
Si ringrazia, per la copertina, Maurizio (Fumettino)
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